L’autore (dal latino auctor, derivato dallo stesso tema di auctus, participio passato del verbo augeo “aumentare”, ma anche dalla radice di auctoritas, “autorità”), in senso archetipico, è l’iniziatore di qualcosa, “colui che fa aumentare” l’insieme dello scibile e del fruibile.
In letteratura per autore si intende il creatore dell’opera letteraria, colui che ne concepisce il disegno nella propria mente. Non si tratta necessariamente di colui che scrive materialmente il testo, né va confuso con il narratore, suo alter-ego all’interno del testo medesimo. Nel Medioevo la nozione di auctoritas dell’autore ha condizionato la ricezione di opere letteraria contemporanee e passate, attribuendo a tutto ciò che era scritto un valore di verità che tutt’oggi si è restii a non riconoscere.
Il termine “autore” è anche utilizzato nell’ambito del diritto commerciale (segnatamente nel diritto d’autore) e nel linguaggio comune per indicare il soggetto creatore di un’opera dell’ingegno, ovvero chi, per primo, ha inventato qualcosa non precedentemente esistente.
Di conseguenza, il diritto d’autore – articolato in diritto morale e diritto di utilizzazione economica – è la posizione giuridica meritevole di tutela volta a riconoscere e a far riconoscere la paternità morale di un’opera dell’ingegno ed i diritti di sfruttamento economico della medesima.
Nell’Oxford English Dictionary “L’Autore” è definito sia come “la persona che crea o dà vita a tutto” sia come “colui che espone le leggi scritte”. La prima citazione indica che la paternità determina la responsabilità di quanto si è creato. La seconda continua a chiarire che, quando si usa la parola “autore”, ciò che viene creato, la maggior parte delle volte, è associato con la letteratura.
In musica viene indicato autore chi scrive il testo di una canzone, il libretto d’opera ecc. mentre viene indicato come compositore chi scrive la parte musicale.
In una conferenza del 1969, lo storico francese Michel Foucault sostiene che la nozione d’autore non è la stessa che ha funzione di nome nella grammatica, e che bisogna intendere l’autore a seguito di quattro sue caratteristiche (variabili nella storia). L’autore è dunque:
- il responsabile del discorso (cioè giuridicamente punibile, esprimente proprietà)
- il garante del senso (per conoscenza della tradizione o per ispirazione divina, esprimente credibilità)
- il progettista d’un discorso (coerente nello stile e nelle idee, esprimente costanza nel valore e unità di stile)
- il portatore d’una simulazione di diversi soggetti che parlano contemporaneamente (colui che fa il lavoro, colui che all’interno del lavoro assume una posizione condivisibile, colui che racconta il lavoro stesso all’interno d’altri lavori passati e futuri)
Il concetto filosofico fondamentale dietro la nozione d’autore è dunque, secondo Foucault, la “trandiscorsività”, cioè l’opportunità di fondare la possibilità e la regola di formazione di altri discorsi, in un continuo rimando di senso che attraversa discorsi prima e dopo la vita singola dell’autore stesso, vuoi per analogia, vuoi per differenza. Insomma più che l’autore come persona (fisica, artistica, giuridica) è la «possibilità indefinita del discorso» che sovrasta l’opera dalla parte dell’autore mentre lo fa scomparire nei «modi di circolazione, valorizzazione, attribuzione e appropriazione dei discorsi» variabili e modificabili in culture diverse.
Scrive infatti Foucault che: “in breve, si tratta di togliere al soggetto (o al suo sostituto) il suo ruolo di fondamento originario, e di analizzarlo come una funzione variabile e complessa del discorso”[1]. Sullo stesso asse, anche Roland Barthes ha parlato di morte dell’autore[2], sostenendo che l’autore, nei confronti del testo, è una chiusura, e facendo pendere la bilancia, non solo in sede critica verso l’opera, in un “luogo dove la molteplicità si riunisce, e tale luogo non è l’autore, come sinora è stato affermato, bensì il lettore […] l’unità di un testo non sta nella sua origine ma nella sua destinazione”[3]. E ciò si può intendere anche fuori dall’ambito letterario.
La sceneggiatura è un testo destinato ad essere girato o filmato, e diventare quindi un film. Costituisce il primo e fondamentale passo nella realizzazione di tutte le opere cinematografiche e di fiction televisiva. Lo sceneggiatore è l’autore che lo scrive.
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Sceneggiatura e testo teatrale
Ad un primo sguardo, una sceneggiatura non differisce molto da un testo teatrale. Anche nella sceneggiatura vengono riportati i dialoghi dei personaggi, con alcune indicazioni sulle loro intenzioni, e vengono descritte le azioni e gli ambienti in cui si svolgono. Talvolta è possibile trovare nelle sceneggiature anche alcune indicazioni sui movimenti che la macchina da presa dovrebbe fare, ad esempio riprendere l’attore in primo piano (ovvero da vicino, inquadrandone solo il volto) o in campo lungo (ovvero da lontano). Ma è più facile che queste scelte vengano lasciate al regista.
Un testo teatrale può conoscere una quantità praticamente illimitata di rappresentazioni, molto diverse l’una dall’altra: due messe in scena dello stesso dramma di Shakespeare possono arrivare a sembrare due storie completamente differenti. Che invece dalla stessa sceneggiatura siano realizzati due film diversi è un fatto che non si è praticamente mai verificato. Non è difficile trovare in libreria le sceneggiature di, ad esempio, Woody Allen, Pedro Almodóvar o Quentin Tarantino, che oltre ad essere registi sono anche sceneggiatori; ma è difficile riuscire ad immaginarle realizzate da qualcun altro.
La sceneggiatura è un progetto, e ha il solo valore del progetto, che per essere sviluppato e compiuto avrà bisogno dell’apporto di altri linguaggi. Ma come ogni progetto, contiene gli elementi fondamentali che ne decreteranno il successo o l’insuccesso. La storia è una responsabilità dello sceneggiatore e senza una buona storia è difficile fare un buon film.
Scrittura della sceneggiatura
Le sceneggiature possono nascere da idee originali, oppure possono essere basate su romanzi, testi teatrali o addirittura su altre sceneggiature. In ognuno di questi casi, la scrittura della sceneggiatura segue di norma le seguenti tappe:
- Idea
- soggetto
- trattamento
- scaletta
- sceneggiatura.
Il soggetto è un’esposizione chiara e piuttosto breve della storia (1-5 pagine). Il trattamento è invece una narrazione più ampia (attorno alle 30 pagine) che può assomigliare ad un racconto letterario, con descrizioni di luoghi, motivazioni psicologiche dei personaggi e qualche indicazione di dialogo. La scaletta è la sequenza “tecnica” delle scene, con una brevissima descrizione di quanto accade in ognuna di esse; serve a mettere in evidenza il ritmo e la progressione della storia e le eventuali falle da correggere. Il prodotto finale, ovvero la sceneggiatura completa di un lungometraggio, supera di norma le 100 pagine.
Quando la sceneggiatura è basata su un romanzo, molto spesso lo riscrive completamente e in ogni caso deve necessariamente operare una ristrutturazione della storia. Il romanzo utilizza una modalità di racconto che non può essere trasposta nella sceneggiatura così com’è, per via della diversa durata e del diverso meccanismo di fruizione dell’opera.
Nei film viene talvolta realizzato anche uno storyboard, ovvero una serie di disegni che anticipano alcune inquadrature, così come dovranno apparire sullo schermo. Lo storyboard in realtà viene realizzato da un disegnatore, quando lo sceneggiatore ha consegnato il lavoro e sta probabilmente scrivendo qualcos’altro. È uno strumento pratico che serve al regista e alla produzione per lavorare meglio sul set, preparando solo quello che effettivamente verrà inquadrato, specialmente nelle scene molto complesse; serve a dare un’idea univoca a tutti i componenti della troupe (ovvero il gruppo di persone presenti sul set) di come dovrà venire la scena.
Una forma particolare di sceneggiatura è quella desunta, che è una trascrizione integrale del film ad opera normalmente di cinefili o studiosi. Essa non ha niente a che fare con la produzione del film, ma solo con una sua possibile analisi critica.
Layout delle sceneggiature
Sul piano della formattazione della pagina, esistono tre diversi modelli:
- sceneggiatura all’italiana
- sceneggiatura all’americana
- sceneggiatura alla francese.
Nel primo modello, all’italiana, il testo è diviso in due parti disposte longitudinalmente: a sinistra c’è la parte descrittiva, ovvero le didascalie, a destra compaiono i dialoghi dei personaggi; quindi la pagina è come divisa in due colonne. Inoltre si cambia pagina ad ogni cambio scena.
Esempio di sceneggiatura all’americana
La sceneggiatura all’americana, invece, dispone sia le didascalie che i dialoghi nella parte centrale del foglio; le didascalie ne occupano tutta la larghezza, mentre i dialoghi vengono disposti al centro, incorporati in un margine ridotto.
Il modello alla francese si sintetizza in una via di mezzo tra gli altri due (disponendo in alto al centro una parte descrittiva e in basso a destra la parte coi dialoghi). È comunque il meno usato dei tre.
La sceneggiatura all’italiana è comoda perché cambiando pagina ad ogni scena rende lo spoglio della sceneggiatura molto semplice: permetteva cioè di aggregare le varie scene in unità di luogo, in modo da massimizzare le riprese. Tutte le sceneggiature del cinema italiano degli anni ’40 e dei decenni successivi hanno questa formattazione.
Oggi, però, il layout più utilizzato è proprio quello all’americana, che offre una migliore leggibilità. Esistono dei programmi appositi per il layout americano che rendono agevole la videoscrittura, e che sono anche in grado di calcolare la durata in minuti di ogni singola scena e dell’intera sceneggiatura. Inoltre il computer è in grado di compiere il lavoro di spoglio in automatico.
Nel modello americano il font obbligatorio è il Courier corpo 12. I nomi dei personaggi e le intestazioni delle scene vengono scritti tutti in maiuscolo. Nell’intestazione bisogna scrivere il luogo nel quale la scena è ambientata, se si svolge in esterni (all’aria aperta) o in interni (in un qualunque ambiente chiuso) e alla luce di giorno oppure di notte. Le didascalie sono tendenzialmente prive di orpelli letterari e tendono a descrivere ambienti e azioni in modo chiaro e sintetico.
Il layout della sceneggiatura rappresenta, però, un solo aspetto del “Formato” che ne comprende anche altri. I programmi esistenti per computer possono, comunque, solo aiutare chi conosce già le scelte di formato che vanno fatte. (Vedi: Formato di sceneggiatura).
Il formato di sceneggiatura
Il formato di una sceneggiatura è un insieme delle convenzioni che aiutano lo sceneggiatore a trasmettere al produttore ‘l’immagine’ possibilmente più suggestiva di un film, espressa in parole scritte. Il formato viene applicato innanzitutto per aumentare la trasparenza e comprensione della sceneggiatura. Il formato comprende tutti gli elementi che sono formalizzati nella sceneggiatura, ovvero non appartenenti al soggetto come tale. La nozione “formato” comprende quindi i tre seguenti argomenti:
(1) La conformità dei caratteri, degli spazi tra le linee e delle dimensioni della composizione. Da questo risulta la seguente dipendenza: una pagina del testo scritto corrisponde ad un minuto della proiezione di un film. A differenza degli standard americani, dove è obbligatorio il carattere Courier 12 e il formato della carta US-letter, in Europa i fogli hanno formato A4 ed i caratteri sono diversi.
(2) Lo schema grafico, il cosiddetto layout, ovvero il modo di introdurre e disporre diversi elementi della sceneggiatura (dialogo, intestazioni delle scene, parentheticals, transitions, ecc.).
Il layout moderno della sceneggiatura risale ancora all’epoca della nascita dei primi film sonori. Negli studi cinematografici venivano create allora le unità separate, dedicate alla elaborazione del dialogo e del soggetto. Tali unità erano diverse dal punto di vista della schematizzazione degli elementi introdotti. Fino ad oggi, questo aiutava agli attori a distinguere tra il parlato e le azioni da fare. Anche dal punto di vista del layout il sistema europeo non è uniforme (vedi “Layout delle sceneggiature”: il metodo italiano, il metodo francese).
(3) La grammatica tipica per la sceneggiatura, usata dagli sceneggiatori. Tale grammatica va vista sotto due aspetti:
(3.1.) Lo stile ‘manifestante’ (‘manifestation oriented style’), ovvero l’uso delle espressioni limitate in gran parte a presentare in modo chiaro e sintetico ciò che si potrà ascoltare e vedere sullo schermo. Tuttavia, questo stile lascia allo sceneggiatore la massima libertà di mostrare un’ampia gamma di soluzioni cinematografiche.
(3.2.) La codificazione, che si vede nelle modifiche delle convenzioni comuni della narrazione. Per esempio: senza interrompere la fluidità della narrazione, si sottolineano gli oggetti o le fonti acustiche importanti nel corso dell’azione; si fa distinzione tra chi parla fuori campo (in off) e chi ha il ruolo del narratore, ecc.
Infatti, la grammatica specifica della sceneggiatura si usa da quando esistono le sceneggiature, ma negli Stati Uniti essa ha preso importanza quando gli sceneggiatori non avevano più la garanzia di vendere le loro opere all’interno del sistema degli studi cinematografici. Adesso, per vendere la sceneggiatura, lo sceneggiatore deve usare lo stile ‘manifestante’, cioè il ‘manifestation oriented style’ – che facilita la trasmissione della trama e del modo attraente in cui viene narrata.
Date le condizioni differenti del mercato dell’industria del film, in vari paesi il formato della sceneggiatura ha una priorità diversa a seconda degli eventuali clienti.
Acronimi e abbreviazioni utilizzati nello script
PPP | Primissimo piano |
PP | Primo piano |
PM | Piano medio |
PA | Piano americano |
FI | Figura intera |
CL | Campo lungo |
CLL | Campo lunghissimo |
CR | Campo ravvicinato (rispetto al CL o CLL) |
FC | Fuori campo |
SOGG. | Soggettiva |
PAN | Panoramica |
TK | Truka: indica l’inserimento di un effetto speciale. |
MdP | Macchina da presa |
DIDA | Didascalia |
POV | Punto di vista (cinepresa o telecamera) |
CG | grafica computerizzata |